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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

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lunedì 1 marzo 2010

Un grido ai giorni perduti Moni Ovadia sul “Giorno del memoria”


Sferzano le parole che Moni Ovadia lancia come coltelli affilati al suo pubblico in occasione del Giorno della Memoria. L'artista ebreo è ospite del dipartimento di Musica e Spettacolo dell'Università di Bologna. Il primo incontro della stagione 2010 del centro la Soffitta, coordinato da Marco De Marinis, si apre così: tra frasi laceranti, picchi di commozione e grande ironia.
Ovadia non vuole perdere tempo a sbrodolare discorsi di cui si hanno piene le orecchie e dal suo incipit usa parole ferme contro un sistema politico logoro, che riguarda Italia, Europa, Usa e si espande in tutto il mondo. “E' la logica del privilegio”, spiega Ovadia “che bisogna mettere in scacco”, poiché essa muove ogni “ragione” politica, sociale, economica.
Ovadia con la sua passione per la verità dona al pubblico una lezione di grande coerenza e giustezza. Più volte precisa quale vorrebbe fosse oggi il ruolo del Giorno della Memoria, che teme possa diventare “il giorno della falsa coscienza”, una ricorrenza in occasione della quale i nostri politici si lavano le menti e “si ricostruiscono una loro verginità”; si scaglia contro la strumentalizzazione di questo giorno che imbratta i ricordi e “usa le ceneri dei morti così come i nazisti le usavano per le pavimentazioni”.
Le sue parole arrivano dritte al segno, prende di mira facili dichiarazioni del nostro presidente del Senato che in balia della commozione, in occasione della visita ad Auschwitz, si è profondamente sentito israeliano: “Perché non dire mi sento rom, omosessuale, antifascista”, tuona Ovadia, anche loro furono vittime dello sterminio nazista.
“Dobbiamo riattivare il senso della vita che si chiama lotta”, ma la sua è una lotta che mira alla giustizia e non alla vendetta. Ha con sé un segno tangibile di questa voglia di riscatto: “indosso la sciarpa viola”, dice con fermezza, colore-simbolo di tutta quella popolazione italiana che ha deciso di dire “ALT” all’anticostituzionalità, a chi calpesta democrazia, uguaglianza e rispetto.
Ovadia non vuole fermare le coscienze del suo pubblico né tantomeno ha deciso di presentarsi in qualità di chi, come tradizione vuole, commemora con parole di pietà il modo ebraico; i suoi discorsi aprono finestre verso realtà di cui poco si parla, perché poco se ne vuole parlare, scomode, senza dubbio. Una storia, la nostra, di una violenza e ferocia inaudita che ancora oggi è completamente assente dall'opinione pubblica e dalla memoria della nostra società.
Col suo dire ci si accorge come questo Giorno della Memoria sembra soffrire al suo interno di forti contraddizioni; oltre agli ebrei, i dimenticati di allora, esistono anche i dimenticati di sempre, ovvero chi ancora oggi non cambia il suo stato di esule dalle coscienze altrui e fatica a entrare nelle memorie di quei possibili giorni in cui sarebbe bene ricordare i molti altri stermini subiti dall’essere umano.
L’ artista passa in rassegna sottomissioni, soprusi, schiavizzazioni che hanno attraversato come un filo rosso la nostra storia; fa un’intensa panoramica di quanto di marcio c’è e c’è stato nella cultura occidentale e non solo, ricorda la guerra di tutti contro tutti della ex Jugoslavia, considera Hitler una pedina messa in piedi dalla finanza tedesca. “Questo mondo è governato da gangster”, più volte si trova a scolpire questo concetto nelle menti degli astanti.
Non risparmia l’America, in questo Giorno della Memoria, grande maestra di xenofobia, così come ricorda l’Italia e il genocidio fascista in Libia terminato nel 1942, che ha lasciato dietro di sé decine di migliaia di morti, ma tutto sembra essere dimenticato. Il privilegio, quello che Ovadia denuncia aspramente, lo si ritrova nascosto solo agli occhi di chi non vuol vedere o di chi affida le proprie menti a una informazione plagiata che incipria il proprio palinsesto.
Con le sue parole di rabbia ma non di violenza Ovadia dice che “è ora di svegliarsi” e questo sembra un buon momento per farlo. Davanti a questa totale indignazione grida contro le tante colpe ma anche contro le tante responsabilità di chi procede con troppa remissività nei confronti di un potere autoritario. In Italia “si è costruita un’epopea sulle ronde, l’opposizione avrebbe dovuto ridicolizzare tale atto, avrebbe dovuto opporsi a un governo degli idioti”. Accusa la sonnolenza del paese davanti ai tanti accenti razzisti di cui ci stiamo macchiando: nessuno a Rosarno conosceva la realtà degli extra-comunitari, della schiavizzazione da parte dei loro datori di lavoro prima che la rendessero nota a suon di rivolta gli stessi sfruttati? “E Maroni propone, per risolvere il problema, di dare la colpa agli schiavi, agli africani, piuttosto che agli schiavisti. Questa - commenta con rabbia - non è una logica cristiana”.
“Che cos’è per te la felicità? Felicità è per me lottare”, con questa frase Ovadia ricorda Marx in questa Giornata della Memoria, che auspica possa diventare, da qui in poi, memoria attiva, “un giorno che possa servire a riaggregare le energie per ripartire da lì”
L’artista con grande chiarezza, forza e non poca ironia ha tolto a questa ricorrenza quella fastidiosa, consolatoria patina di perbenismo.
Ilaria Palermo

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