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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
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Buona lettura!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

WEB Elena Cirioni

SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dms dell'Università di Bologna.

lunedì 1 marzo 2010

Resistenza, resistenza, resistenza!

INTERSCENARIO: LE GENERAZIONI DEL NUOVO

E’ bello vivere liberi!
Di e con Marta Cuscunà
Costruzione degli oggetti di scena Belinda De Vito
luci e audio Marco Rogante
disegno luci Claudio Parrino
Vincitore del Premio Scenario per Ustica 2009
Teatro Itc, San Lazzaro di Savena, Bologna



81672: cinque grossi numeri scritti con delle pennellate di vernice bianca su un vagone destinato al trasporto del bestiame.

E’ facile capire a cosa alluda quest’oggetto presente in scena sin dall’apertura del sipario, è quasi ovvio pensare ai campi di concentramento, ad Auschwitz.
Ma Marta Cuscunà, autrice e interprete dello spettacolo, fa dimenticare il presagio sinistro di quel vagone.
Eccola comparire in scena e iniziare a far rivivere la storia della giovane staffetta partigiana Ondina Peteani.
L’attrice ricorre a una narrazione brillante e ironica, sia quando parla in terza persona, sia quando dà corpo e voce non solo a Ondina ma anche, con straordinaria abilità mimica e vocale, a coloro che hanno segnato la vita della ragazza. I personaggi emergono attraverso brevi episodi, piccoli cammei in cui sono condensate le caratteristiche salienti di ognuno. Le luci, il divertente commento musicale, l’utilizzo degli oggetti scenici e, soprattutto, la capacità interpretativa dell’attrice ci permettono di visualizzare concretamente Ondina e i suoi compagni, quasi fossero le sequenze di un film (o forse di un cartone animato).
Sembra di vederla crescere e maturare, questa partigiana: dai primi contatti con i gruppi clandestini, alla promozione al ruolo di staffetta (che le permette di indossare i pantaloni, simbolo di emancipazione femminile), fino alla concreta esperienza della prigione e della guerra.
A questo punto la narrazione perde in vivacità ma si fa emotivamente più intensa, tanto che spesso, forse troppo spesso, la voce dell’attrice è sul punto di rompersi in pianto.
Fortunatamente, però, lo spettacolo riesce di nuovo a stupire; proprio quando Ondina è incaricata di tendere un agguato al traditore Blechi, Marta sparisce dietro a un pannello che si trasforma in un piccolo teatro per cinque burattini che sembrano usciti dalla matita di Tim Burton: saranno loro, irresistibili e coloratissimi, a compiere con successo la pericolosa missione, la quale ovviamente si trasforma in una farsa dialettale con tanto di bastonate finale. E’ una soluzione che attinge alla tradizione del racconto orale e che sottrae l’episodio a ogni forma di retorica e di lungaggine narrativa; la vicenda inscenata tuttavia culmina con un omicidio, come dimostra la mano insanguinata di Marta che, spuntando da dietro il pannello, chiude l’azione.
La storia di Ondina sta volgendo al termine. La ragazza viene deportata ad Auschiwitz e quel vagone del treno, sin dall’inizio presente in scena, balza di nuovo davanti agli occhi di tutti:quello che dapprima era presagio diventa ora una drammatica certezza. Ed ecco una nuova virata: Marta apre il vagone e inizia a manovrare un inquietante pupazzo, al quale strapperà i capelli e il vestito, cosicché il pubblico si trovi davanti agli occhi l’immagine scheletrica della ragazza devastata dal campo di concentramento. E’ un momento di rara potenza visiva e talmente compiuto in sé che le battute dall’attrice (non molte in verità) appaiono piuttosto superflue: basta guardare la fragilità di quell’oggetto inanimato, osservare l’espressione attonita di quegli occhi dipinti (grandi e luminosi, quasi a ricordare quelli di Marta-Ondina) o ascoltare il rumore di un osso che si spezza sotto le mani Marta per poter rabbrividire, per non poter sopportare altro.
Sono poche anche le parole che seguono questa sequenza: come nella migliore tradizione del racconto orale, alle ultime frasi, le uniche apertamente retoriche, sembra essere affidata la morale della vicenda; Marta pronuncia con entusiasmo e ardore le parole di Ondina, sopravvissuta ad Auschwitz anche grazie alla fede nella scelta di combattere contro il fascismo.
Ma impercettibilmente il discorso assume una portata più ampia perché resistere, dice Ondina, significa scegliere da che parte stare: in questo senso quello di “Resistenza, resistenza, resistenza!” sembra l’appello accorato che Marta rivolge al suo tempo e, forse, alla sua generazione.

Giulia Taddeo

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