CHI SIAMO

Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
recensioni, reazioni.

Buona lettura!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

WEB Elena Cirioni

SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dms dell'Università di Bologna.

lunedì 24 maggio 2010

Un approccio alla critica


Tiberia De Matteis
La critica teatrale
Come si analizza e si recensisce uno spettacolo
Gremese Editore

Il testo di Tiberia De Matteis sulla critica teatrale, è, come si evince dal sottotitolo, una sorta di piccolo manuale per il giovane critico alle prime armi. Un libro chiaro e semplice che vuole dare un'idea generale del teatro e degli elementi di cui si compone, attraverso cinque sezioni rispettivamente dedicate al testo, all'attore e il personaggio, al regista, al palcoscenico e alla valutazione critica, che poi è il punto focale del discorso.
L'autore fa riferimento al teatro mimetico, in cui la parola predomina e dice tutto, supportata da luci, musiche, scenografia. L'idea di fondo, dunque, è quella del teatro come rappresentazione.
Partendo da una concezione drammaturgica legata all'allestimento, De Matteis spiega nei dettagli le caratteristiche del testo drammatico che risultano essere un po' troppo esemplificate, per arrivare a parlare dell'immaginario del drammaturgo che crea i personaggi, visti come figure autonome dotate di una vita propria.
Ho fatto l'esempio della sezione sul testo, ma questa concezione della rappresentazione come vita da vivere e rivivere in scena si riscontra in tutte le altre sezioni del libro, restituendo al lettore un punto di vista unico sull'argomento.
A riprova di questo, nella parte dedicata all'attore e il suo personaggio, si parla esclusivamente di due metodi di recitazione: quello della reviviscenza di Stanislavskij e dello straniamento brechtiano, che, nella contemporaneità, non possono più essere utilizzati in un senso così schematico.
Nel corso del libro, l'autore fa un breve excursus storico sulla nascita-evoluzione in senso moderno della regia, citando alcuni registi come i Meininger, Stanislavskij, Mejerchol'd, Craig e ricorrendo, inoltre, a esempi di spettacoli storici, come “Arlecchino servitore di due padroni” diretto da Strehler.
De Matteis parla di una regia la cui potenza risiede nel lavoro con gli attori e sulle loro personalità che porta a grandi risultati, dietro ai quali si cela una grande tecnica.
Il discorso sarebbe molto più articolato e cercare di esemplificare il teatro per avvicinare un lettore giovane alla critica, rischia di portare a fraintendimenti legati a una concezione banale dell'esperienza teatrale.
Per quanto riguarda l'ultimo capitolo sulla valutazione critica di uno spettacolo, che dovrebbe essere l'argomento centrale del testo, l'autore ci parla di come essa viene comunemente giudicata, ovvero con una certa diffidenza e paura nei confronti di un atteggiamento troppo solito alle stroncature.
In realtà, sostiene De Matteis, il critico dovrebbe essere una persona che ama il teatro e che ha fatto della propria passione un mestiere e prosegue affermando che un atteggiamento distruttivo gratuito è molto controproducente.
Dopo aver dato consigli su come scrivere una recensione, viene ricordata la vera funzione di chi scrive: decodificare in modo oggettivo uno spettacolo al fine di renderlo leggibile a tutti.
E' ovvio che l'opinione del critico deve emergere e, anche se le stroncature gratuite a volte sono eccessive, un po' di cinismo non guasta, aggiungerei io. Anche questo capitolo scade in una schematizzazione sterile che rende il testo leggero, consigliabile a ragazzi molto giovani che si avvicinano al teatro, ma assolutamente non esaustivo e non rispecchiante la vera essenza teatrale.
Marta Franzoso

domenica 23 maggio 2010

Il critico teatrale fra vocazione e mestiere


Questo fantasma. Il critico a teatro.
Andrea Porcheddu, Roberta Ferraresi
Edizioni Titivillus

Andrea Porcheddu, critico teatrale e giornalista, nel suo ultimo libro:“Questo fantasma. Il critico a teatro” indaga gli spazi a cui il critico teatrale ha il dovere di porre attenzione, per ampliare una lettura del fatto teatrale, guardare al di sotto e al di sopra di questo.
Ciò che precisa fin dall’inizio Porcheddu è l’importanza da parte del critico di formulare un giudizio, pena la mancanza di critica stessa.
Il libro è articolato in cinque capitoli, ogni capitolo affronta una determinata area tematica: la critica, il soggetto, il segno, la società, la contemporaneità teatrale.
Ogni capitolo offre una duplice visione: storica e critica, quest’ultima supportata da citazioni di altri critici e teorici.
Lo studioso interrogandosi sul valore della critica teatrale, sulla sua efficienza, attraverso le parole di Micheal Walter e Emilio Garrone, afferma che l’attività critica corrisponde a una certa maniera di stare al mondo, di esperire la vita, di assistere a mutamenti politici e sociali; attraverso tali consapevolezze il critico può “collocarsi nel o in fronte al teatro”
Compito del critico, afferma Porcheddu, è quello di portare alla luce, svelare determinate realtà che da lui sono esperite, analizzare lo stato di alterità che è posseduto da ogni oggetto concreto.
Attraverso un accostamento con le istanze freudiane del gioco di opposizione fatto dai bambini Fort-Da, vicino/lontano (gioco attraverso il quale i bambini fanno sparire degli oggetti con cui giocano, per poi andarli a recuperare, farli riapparire), lo studioso propone una visione del critico che come il bambino gioca con le immagini che gli si presentano, chiamandole in vita oppure gettandole nuovamente nell’ombra
Un’altra visione dell’essere critico è quella offerta da Taviani, definita come “osservazione partecipante”, idea che supera il concetto di lontananza prima esposto; secondo Taviani e Porcheddu, il quale sembra abbracciare più questa istanza, il critico si colloca dentro l’opera d’arte, la incontra nel suo territorio e nella sua vita.
Alla stessa maniera Flaiano parla dell’incontro del critico con lo spettacolo come un innamoramento: “mi sorprende di non saper giudicare uno spettacolo se non come una persona viva.,che con tutti i suoi pregi può essere detestabile, oppure amabile per i suoi difetti”.
L’attività del critico teatrale, spiega Porcheddu, fa anche i conti con la vita personale del critico stesso; ricostruendo ciò che ha visto, rielaborandolo, attraversa anche la sua esperienza di spettatore e di essere umano, con le sue emozioni e pensieri, guarda lo spettacolo e riguarda anche se stesso.
In cosa consiste quindi la critica teatrale secondo Porcheddu? E’giudizio che va oltre la memoria, oltre lo scavo di sé e dell’altro Lo studioso passa in rassegna diversi critici fra i quali D’Amico e Marino, attraverso le parole di D’Amico evidenzia come prerogativa del critico non sia solo quella di conoscere il testo a cui lo spettacolo fa riferimento ma anche quella di conoscere il lavoro di attori e registi, seguirne le prove, attraversarne i processi; con le parole di Marino, Porcheddu pone l’attenzione sulla necessità da parte del critico di misurarsi con limitazioni interne ed esterne: proprie inclinazioni personali, i propri gusti e disgusti, liberarsi da tutte le costrizioni che racchiudono la recensione per ritrovarla rinnovata.
Non bisogna comunque dimenticare che il critico essendo un giornalista ha il dovere in quanto tale di raccontare un fatto, ovvero il fatto teatrale, rispondendo alle classiche 5W del giornalismo; deve rispettare, in quanto giornaliste ristrettezze di spazi del giornale e lottare inoltre con l’immediatezza.
Porcheddu lamenta la marginalità a cui è relegata la critica contemporanea e una progressiva scomparsa del pensiero complesso causata da una politica culturale che premia ciò che Michele Serra chiama “pensiero semplificato”; la critica non trova più i propri spazi nei giornali, è ridotta, a causa delle ristrettezze redazionali, a diventare pensierino bonsai, articolo in appendice..
Porcheddu esamina la centralità del soggetto nella contemporaneità, dal teatro di narrazione, al teatro dei non-attori e a moltissime svariate forme del teatro contemporaneo che non possono fare ameno di esibire il sé come protagonista, andando verso il collasso del personaggi.
Porcheddu si interroga su come il critico deve porsi nei confronti di tali spettacoli, spaccati di vita; attraverso la recensione su “Questo buio feroce” di Delbono di Maria Grazia Gregori, scorge come elemento primario la componente emozionale.
Ciò che il critico sostiene lungo il corso del manuale è una continua volontà da parte dell’attore contemporaneo di affermare un proprio sé, un proprio corpo-io, che non rimanda ad altro che a se stesso.
Porcheddu cita RenatonPalazzi, in merito a un’analisi fatta dal critico alle nuove realtà teatrale, fra le quali annovera i Motus, Teatrino Clandestino, Accademia degli Artefatti; “sono fenomeni teatrali che colpiscono per la loro molteplicità di stili e di linguaggi, sempre in continua rinnovazione. Comunque la si pensi è in atto un evidente spostamento di equilibri”, un rinnovamento della comunità teatrale che vede crescere il pubblico di queste giovani tendenze e dall’altra parte assiste a una costante diminuzione del pubblico del teatro di regia.
Alla luce di questo plurilinguismo contemporaneo il critico ha dunque il diritto-dovere di saper cogliere le diversità e raccontarle, permettersi di imboccare delle strade dalle quali ne proverranno altre, accompagnare le “vite che sbocciano ovunque”
Ilaria Palermo

martedì 11 maggio 2010

Alla scoperta del Premio Scenario




Generazioni del nuovo. Tre anni con il Premio Scenario (2005-2007)
a cura di Cristina Valenti
Edizioni Titivillus


Cos’è il Premio Scenario? Quale è la sua importanza nel contesto del giovane teatro italiano? Nel 1987 l’Associazione Scenario, nata con lo scopo di promuovere e valorizzare la cultura teatrale con particolare riferimento alle esperienze dei giovani artisti di teatro, orienta quelle che sono le sue principali attività – dai convegni agli incontri ai seminari – alla fase probabilmente più importante di tutto l’iter di ricerca delle nuove realtà emergenti, il Premio Scenario, per l’appunto. Si tratta non solo di un concorso nazionale a cadenza biennale rivolto a giovani esordienti o gruppi appena formatisi, ma anche di un osservatorio nazionale, capace di monitorare le tendenze di un territorio non riconosciuto dagli interventi pubblici ed escluso dai rilevamenti nazionali. Il Premio nasce all’insegna della molteplicità e delle differenze, portando alla ribalta nel corso degli anni nomi quali Emma Dante, Teatro delle Ariette, Davide Iodice, Scena Verticale, Babilonia Teatri, per menzionarne solo alcuni. Di recente convoglia l’attenzione anche su temi d’impegno civile o sul teatro dell’infanzia e dell’adolescenza (Premio Ustica per il Teatro Civile e Premio Scenario Infanzia).
Il volume “Generazioni del nuovo. Tre anni con il Premio Scenario (2005/2007)” nasce come testimonianza concreta sulla storia del Premio, per la prima volta documentata. Raccoglie inoltre i risultati delle indagini statistiche dell'edizione del triennio 2005/2007 e gli scritti degli artisti premiati e di coloro che si sono confrontati con il progetto attraverso percorsi diversi: esperti teatrali, intellettuali, studiosi e drammaturghi. Il tutto è corredato di una sezione di immagini fotografiche curate da Francesca Savini e Marco Caselli Nirmal e da materiali relativi alle diverse fasi del Premio nel triennio considerato: programmi di sala, notizie sulle compagnie e motivazioni della giuria. Una mappatura che da voce e corpo alle nuove generazioni e che indaga la loro formazione artistica, i linguaggi e i modelli utilizzati per i loro progetti.
Dall'analisi dei dati tratti dalle schede descrittive dei partecipanti si deduce che il Premio Scenario è un gesto concreto per le giovani generazioni che attraverso il teatro sperimentano modi personali di aggregazione, partecipazione, conoscenza, oltre che naturalmente di espressione e ricerca artistica. La maggior parte dei candidati dichiara, infatti, di aver partecipato al Premio per ottenere una maggiore visibilità e un riconoscimento del proprio lavoro, ma soprattutto per avere la possibilità di confrontarsi con un pubblico di esperti del settore, che li hanno aiutati a crescere e a migliorare e migliorarsi a livello artistico e personale e per conoscere altre realtà simili alle proprie.
La prima parte del volume prende in esame le indagini statistiche derivanti da un lavoro di scrematura dei questionari analitici e descrittivi che i partecipanti al premio hanno dovuto compilare per partecipare al concorso, parte curata da Francesca Bortoletti, Alessandra Consonni, Anna Giuriola e Fabio Tomaselli. Nel dettaglio, la scheda analitica raccoglie i dati che riguardano la costituzione e la forma giuridica delle compagnie, la disponibilità e la tipologia degli spazi di lavoro, l'età e il numero di componenti, la formazione, le esperienze professionali e la tipologia del progetto proposto (genere, drammaturgia...). La scheda descrittiva analizza i modelli di riferimento, le fonti e i testi consultati per creare il progetto e le motivazioni che spingono i giovani a partecipare al Premio.
Nella seconda parte del testo è riportato il resoconto della tavola rotonda che si è tenuta nell’aprile 2008 alla Soffitta, e che ha dato voce ai vincitori dell’undicesima edizione del Premio, i Babilonia Teatri che, grazie a esso, hanno ottenuto la possibilità di acquisire visibilità e uscire dall’isolamento culturale della propria zona di provenienza. Seguono gli scritti di vari operatori, artisti e studiosi che raccontano la personale esperienza all’interno dell’Associazione Scenario, sottolineando l’importanza del progetto che ha costituito per molti giovani la possibilità concreta di emergere nel mondo del teatro. Il Premio Ustica per il Teatro Civile nasce dall’incontro di Scenario con l’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, allo scopo di dedicare un capitolo del nuovo teatro all’impegno civile e alla memoria.
Nella sezione “Materiali”, il volume contiene anche la lista dei soci dell’Associazione Scenario, dall’anno della sua costituzione al 2007, il palmares dei vincitori dal 1987 e l’elenco degli spettacoli partecipanti alle varie tappe di selezione del Premio Scenario e del Premio Ustica del 2005 e del 2007 e del Premio Scenario Infanzia del 2006.
Potremmo considerare “Generazioni del nuovo. Tre anni con il premio Scenario (2005/2007)” come uno strumento di analisi per studiosi e non, volto a esplicitare le metodologie di lavoro che sono alla base del progetto. Un manuale propedeutico allo studio delle sempre nuove realtà teatrali emergenti sulla scena nazionale che racconta in prima persona la complessità e la validità di un patrimonio che altrimenti andrebbe disperso.
Maria Pina Sestili

mercoledì 5 maggio 2010

Soli al mondo?


Una rassegna dedicata all'assolo di danza chiude la stagione della Soffitta

Da almeno un secolo ormai l'assolo sembra costituire una delle tipologie performative più praticate nell'ambito della danza moderna e contemporanea. E' un lungo viaggio, infatti, quello compiuto dal solo (per usare, stavolta, la denominazione inglese), un viaggio che inizia nei primi del Novecento quando le "pioniere" della danza libera (Loie Fuller, Isadora Duncan e Ruth S. Denis) vi individuarono la forma privilegiata attraverso cui dar vita al movimento di un corpo liberato non solo dalle regole ferree della danza accademica ma anche da quelle della società del tempo. E così, passando attraverso la danza d'espressione tedesca (con figure come Mary Wigman, Dore Hoyer e Harald Keutzberg), che nel solo vede uno strumento per esternare la ricchezza del proprio mondo interiore, troviamo poi le coreografie soliste (“Lamentation” su tutte) della madre della modern dance: Martha Graham. E' a partire dal lavoro sul proprio corpo (olisticamente inteso) che la Graham crea una tecnica davvero nuova e, forse per la prima volta dopo il balletto, profondamente strutturata.
Ma un assolo è anche il manifesto della postmodern dance, quel “Trio A” di Yvonne Rainer in cui il corpo democratico degli anni Sessanta si muove in maniera quotidiana, anche se con una sequenza rigidamente definita. Si potrebbero citare poi almeno alcuni nomi di artiste (dato che, oggi come ieri, la maggior parte dei danzatori solisti è di sesso femminile) che, come Trisha Brown, Susanne Linke o Rehinild Hoffmann, con istanze molto diverse tra loro (e spesso sorrette da una ferma critica sociale), traghettano il solo fino al presente, con figure straordinarie, come Forsythe, Teshigawara fino al carismatico Ohno. Attualmente, spinti anche da costrizioni di carattere economico, i giovani coreografi e danzatori, soprattutto nel nostro paese, ricorrono con frequenza alla forma solistica per potersi esprimere e, concretamente, per riuscire a far circuitare i propri lavori.
Il progetto “Soli al mondo?” (che occupa l'intera sezione danza delle attività della Soffitta 2010) vuole ricostruire l'evoluzione dell'assolo dall'inizio del Novecento fino ai giorni nostri attraverso un ciclo di tre incontri. Il primo, infatti, è dedicato a una ricognizione storica delle esperienze di assolo che hanno caratterizzato il secolo appena trascorso, mentre gli altri due riguardano l'attualità più stretta: da un lato il panorama internazionale (con un focus su figure come Forsythe o Saburo Teshigawara), dall'altro la situazione italiana (e qui l'approfondimento interessa danzautrici come Simona Bertozzi e Cristina Rizzo, oltre a giovani promesse emerse durante l'ultima edizione del Premio Giovane Danza d'Autore).
Punto forte del progetto è sicuramente la partecipazione diretta degli artisti (Silvia Bugno, Paola Bianchi, Aline Nari, Francesca Pennini, Sayoko Onischi, con Alessandro Bedosti unico esponente maschile) che, oltre a presentare i propri soli nel corso di due serate (13 e 14 maggio) ai Teatri di Vita, sono protagonisti di una giornata di studio che vede la partecipazione di Eugenia Casini Ropa, Elena Cervellati, Stefano Tomassini. Un'occasione di confronto dunque, per gettare uno sguardo attento sulla realtà coreografica del nostro paese, cercando di cogliere l'evoluzione di una forma artistica (e di coloro che la praticano) nel corso del tempo.
Giulia Taddeo