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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
recensioni, reazioni.

Buona lettura!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

WEB Elena Cirioni

SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dms dell'Università di Bologna.

lunedì 1 marzo 2010

Giovani promesse, arditi sperimentatori, grandi maestri









Coversazione con Marco De Marinis

Anche quest’anno La Soffitta collabora con diversi teatri bolognesi. Quali vantaggi ha prodotto questo tipo di legame con la città?
La Soffitta è arrivata alla sua ventiduesima stagione e da un po’ di anni si è conquistata uno spazio nel sistema teatrale cittadino, provinciale e regionale: è qualcosa che ha acquisito gradualmente grazie alla forza della sua proposta culturale. Questo ha permesso innanzitutto di ovviare a una serie di inconvenienti e incidenti che si sono verificati già negli anni passati.
Penso ad esempio al 1995, quando dall’oggi al domani perdemmo la vecchia sede di via D’Azeglio a causa di problemi relativi alla tenuta strutturale del palazzo. Da subito una serie di teatri si resero disponibili a ospitare i nostri spettacoli; se guardiamo i programmi della Soffitta fra il 1996 e il 2001, anno in cui acquisiamo gli spazi di via Azzo Gardino, vediamo un lungo elenco di luoghi teatrali in cui si fanno i nostri spettacoli: La Soffitta esisteva, ma materialmente i luoghi in cui si svolgevano le attività non erano nostri.
E per quanto riguarda il supporto di tipo economico?
Senza dubbio, sempre latente, l'inconveniente più grave e più insidioso è quello economico. Purtroppo, dopo un periodo di crescita e di tenuta dal punto di vista del budget, La Soffitta ha risentito dei tagli che riguardavano l’Università italiana in generale.
Potete quindi immaginare le difficoltà che insorgono quando si tratta di tutelare due centri come il Cimes e La Soffitta: non è scontato che il loro valore sia riconosciuto, ad esempio, da colleghi di fisica, medicina o biologia soprattutto in un momento in cui c’è una contrazione delle risorse. Tuttavia bisogna dire che il Rettorato ci è stato sempre vicino.
Il programma di quest’anno, grazie alla rete di collaborazioni in cui siamo entrati, rimane all’altezza nonostante la crisi. Sarebbe stato impensabile portare avanti un progetto come Interscenario da soli, ma grazie a quattro teatri sosteniamo ben 10 spettacoli. C’è poi l’Arena del Sole che è un partner storico...
Se c’è quindi interesse a valorizzare la presenza dell’Università non è per filantropia, ma anche per una necessità degli enti sovventori: questo ci dà la forza necessaria a realizzare dei progetti di qualità, oltre a essere, naturalmente, motivo di orgoglio.
Come è avvenuta la ripartizione del programma della Soffitta tra teatro, danza, musica e cinema?
Sono state fatte scelte artistiche che riservano un ruolo maggioritario al teatro, com’è giusto che sia. La musica ha una parte minore perché se ne occupa soprattutto il Cimes.
Guardando al progetto Interscenario presenta una considerevole varietà di proposte spettacolari. Quali sono le caratteristiche di questi artisti emersi grazie al Premio Scenario?
Interscenario a sua volta non è una fotografia neutrale delle giovani generazioni di artisti di teatro: esso attinge Premio Scenario e rispecchia anche le scelte dei giurati del premio stesso.
Mi sembra ad esempio che i filoni scelti siano rappresentativi sia di un ritorno al testo e alla scrittura drammatica, sia di un preservamento della tradizione del teatro d’attore legata alle proposte del secondo Novecento. Questa linea di lavoro sulla drammaturgia d’attore, che in altri festival sembra essersi un po’ persa (a favore di un lavoro sulla visualità, sulla multimedialità, sulle intersezioni fra linguaggi… ), qui è guardata con un certo interesse.
Per quanto riguarda il progetto Aspettando Pulcinella, quali sono, oggi, l’immagine e la funzione di un oggetto antico come la maschera?
Vi spiego come è nato questo progetto. Tutto cominciò quando andai a vedere lo spettacolo di Vanda Monaco “Pulcinella è un bastardo”. Mi colpì molto il fatto che la maschera fosse riportata in vita in maniera totalmente inedita, contemporanea, salvando in fondo qualcosa di autentico, proprio di maschera. Rimaneva cioè una sua verità profonda, che sia la cattiveria, la violenza, lo sguardo disincantato, cinico, beffardo. Cioè: si perdeva l’esteriorità un po’ manierata e convenzionale della maschera, ma qualcosa di vicino all’essenza di Pulcinella rimaneva.
Allora abbiamo pensato di radunare gli artisti che oggi lavorano sulla maschera e di realizzare una tavola rotonda “pratica” in cui artisti pedagoghi e maestri possano fare quello che sanno fare meglio, e cioè dimostrare praticamente come lavorano. Saranno presenti artisti fra loro molto diversi: dalla ricerca Commedia dell’Arte di Antonio Fava, alla tradizione artigianale ereditata da Donato Sartori, alla sperimentazione eurasiana di Claudia Contin, al napoletano Eugenio Ravo, da sempre interprete di Pulcinella ma formatosi sulla scia di Decroux.
Progetto Kikaleri-Logomachia: cosa lascia trasparire questo titolo a proposito della dimensione linguistica del lavoro di Kinkaleri?
Kinkaleri è un gruppo classificato come teatro-danza, teatro del corpo. In questo caso si confronta con la questione della parola, dell’emissione vocale, dei problemi legati alla vocalità e al valore di una voce che non è solo parola. C’è poi una provocazione di fondo perché questo work in progress è partito con la performance di una ventriloqua, e quindi dalla sfasatura fra chi emette il suono e chi figura come soggetto parlante, tra soggetto dell’enunciazione e soggetto dell’atto vocalico.
Finalmente quest’anno La Soffitta ospita Pippo Delbono…
Abbiamo fortemente voluto Delbono, un personaggio amato in Italia e spesso addirittura osannato all’estero. Sarà un’occasione preziosa per confrontarsi con quest’artista, “personaggio scomodo” e non troppo incline a esporsi in pubblico, e in particolare con il suo cinema “teatrale”. Si tratta di un cinema poetico e crudo che ricorda, secondo me, la filmografia pasoliniana.
In quale contesto teatrale possiamo collocare la compagnia Marcido Marcidorjs?
Questa compagnia appartiene alla generazione degli anni ’80, un momento forse bistrattato ma da cui proviene tutto il meglio di oggi. Sono anni di ripensamento dei modelli acquisiti, di superamento degli schemi, di confronto con il testo e con la parola. La particolarità di Marcido Marcidorjs sta nell’aver riunito tre personalità estremamente diverse: il regista Marco Isidori, molto vicino alla poetica di Carmelo Bene, l’attrice Maria Luisa Abate, di formazione accademica, e Daniela Dal Cin, straordinaria artista visiva e scenografa. I Marcido rivisitano in maniera interessante e non gratuita i testi classici e, soprattutto, costruiscono i propri oggetti scenici: sono degli artigiani nel vero e proprio senso del termine.
La sezione “Il teatro dei libri” ci propone due nomi d’eccezione: Leo de Berardinis e Eugenio Barba. Cosa ci riveleranno i libri dedicati a questi maestri?
Questa domanda mi dà l’occasione per dire quale sarà il segno della stagione circa il tema dei Grandi Maestri.
Da un lato, per vocazione e per dovere, La Soffitta guarda costantemente a quello che emerge nel teatro giovanile. La presenza dei giovani è da sempre un punto forte.
Poi, c’è un’attenzione che abbiamo sempre dato al teatro sociale inteso come teatro che fa i conti con la diversità, la marginalità, la disabilità fisica, psichica o sociopolitica o come quella rappresentata dal problema degli immigrati.
Quest’anno tale filone è rappresentato da Loredana Putignani, performer, artista, operatrice culturale ed ex-costumista di Leo de Bernadinis che lavora da tempo su queste tematiche.
L'abbiamo conosciuta tanti anni fa ma il suo ultimo lavoro, dedicato ai migranti, è stato notato con attenzione durante la Biennale di Venezia. Incarna “l'impegno dell'esempio”.
E infine i grandi maestri. Sin dalla sua nascita La Soffitta li ha ospitati e quest’anno, come sempre nei momenti di crisi, vi si ricorre di nuovo; si torna cioè alle radici, a qualcosa che sia in grado di darti dei punti di riferimento forti. Ecco quindi l’importanza del libro di Barba, che è una vera summa della sua lunga carriera, in cui la riflessione teorica si fonde con l’autobiografia artistica. Il libro di Claudio Meldolesi invece, altro grande maestro cui sono dedicati un po’ tutti i progetti di quest’anno, è un lavoro prezioso anche perché contiene oltre 100 testimonianze sull’attività di Leo e un ricco apparato iconografico.
Giulia Taddeo, Lily Keniger

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