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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
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DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

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SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

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mercoledì 24 marzo 2010

Frame geometriche pure




INTERSCENARIO: LE GENERAZIONI DEL NUOVO
Tempesta Compagnia Anagoor con Anna Bragagnolo e Pierantonio Bragagnolo Regia di Simone Derai

Teatro o arte visiva? Performance attorale o multimediale? Forse la seconda mi si presenta più agevole come domanda, ma la prima proprio non mi conviene affrontarla, o finirei per ingarbugliarmi in un infinità di paradossi e cul-de-sac, essendo la questione ancora inesorabilmente aperta. È tutta una questione di “frame”, cornici. “È grazie alle cornici, e alla nostra costante attività di incorniciamento psicologico, che riusciamo ad attualizzare quei messaggi meta-comunicativi”, citando Bateson. Cornici culturali, fisiche e cognitive, utili “istruzioni” per noi osservatori. Resta il fatto che la sensazione che ne proviene è quella di un incanto, di una sospensione, a tratti interrotta, purtroppo, da noia, causa momenti di stasi che diventano lungaggini. Perciò addio trance. Una tempesta così ancora non l’avevo immaginata, e questo è ciò che c’è di più positivo. Bandita la parola, su di un palco completamente rivestito di pvc bianco, due pannelli rettangolari affiancati e paralleli, sospesi a mezz’aria con dei fili di nylon, posti alla destra, rispetto allo spettatore, di misura media. Due schermi, fatti e finiti. Alla Bill Viola, le immagini che vi “scorrevano” sopra, passavano da uno all’altro, avevano spesso a che fare con elementi naturali e proponevano flussi d’acqua che correvano in salita invece di svuotarsi in preda della forza di gravità. Sulla sinistra una scatola, trasparente ma opaca, piena di fumo, di nebbia, e di due corpi, o uno. E se la densità materica dell’effetto cortina di fumo non ci permetteva di mettere a fuoco cosa si stava trasformando al suo interno, allora ci pensavano gli schermi a far emergere all’esterno ciò che nella scatola sprofondava. Nel corso della performance, in balia di due attori statuari e di sapienti effetti estetizzanti, la camera-scatola cambierà più volte aspetto, proponendoci un giaciglio per una corpo femminile a metà tra l’Olympia di Manet e la Maya desnuda di Goya, o acquisendo la foggia di un bosco attraversato da una miriade di differenti infiltrazioni di luce . Effetti magistrali e perfettamente combinati: “un quadro per un’esposizione spettacolare” diceva Daniela Dal Cin per il loro spettacolo, e di un quadro per un’esposizione spettacolare potrebbe trattarsi anche nel caso degli Anagoor. Non a caso i ragazzi non si negano, traggono la loro ispirazione da Giorgione (si potrebbe dire che cerchino di tradurlo affidandosi alle grazie della scenotecnica più moderna e cercando una concertazione delle componenti del linguaggio teatrale in grado di farlo ri-vivere), e dagli elementi atmosferici propri della tempesta (tra l’altro uno dei dipinti del Giorgione è così intitolato). La natura offre un codice (…) per annunciare la fine dei giorni. L’Apocalissi (nel senso e di battaglia finale, e di rivelazione) che interessa è tanto quella universale quanto quella di ciascun individuo che sente e soffre il tempo breve della giovinezza, l’irreparabile finitezza. La crescita, la sfida contro il chaos, la caducità. Alle previsioni astrologiche dei cieli del primo lustro del XVI secolo si sostituiscono i segni dell’incombente contemporaneo, ma la condizione umana di cosciente essere effimero rimane il primo motore dell’angoscia e dei suoi risvolti più sublimi”. Così gli Anagoor. A questo punto mi sembra inutile rubar loro le parole, penso sia più funzionale confermare se dal punto di vista meramente spettacolare abbiano raggiunto il loro obiettivo o meno: sì, in parte, visto che questa scena minimalista è in grado di prendere vita, matericamente intesa, cioè è in grado di produrre vita, ed è un concetto saldo e oramai condiviso da molti che sia questa una delle prerogative del fare teatro. Anche se in questa ricerca pura, rischia di risultare, nella sua sublimazione estetica di un contenuto iconografico, nella sua impeccabile simmetria, eccessivamente concettuale e lontana…
Futura Tittaferrante

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