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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
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Buona lettura!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

WEB Elena Cirioni

SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

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giovedì 18 marzo 2010

I nuovi mostri: le marionette biomeccaniche figlie di Beckett



MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA

“Ma bisogna che il discorso si faccia!”

da “L'Innominabile” di Samuel Beckett
drammaturgia e regia Marco Isidori
con Maria Luisa Abate,
Paolo Oricco, Marco Isidori

Sembrerebbe un uomo il personaggio dipinto sulla tela che ci accoglie in sala, ma in realtà è un ominide segnato da difformità fisiche quasi raccapriccianti, in una posa da verme, da subalterno, come metafora della condizione che la compagnia Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa tenta di palesare attraverso questo lavoro “Ma bisogna che il discorso si faccia...”, che prende spunto dal romanzo “L’Innominabile” di Samuel Beckett. L’oggetto di questo discorso, di questo monologo a più voci forse sarebbe più corretto definirlo, è la sofferenza, lo stato di cattività entro cui sembrano rinchiusi i cinque personaggi, emanazioni di un solo io pensante a cinque bocche, e la ricerca/non-ricerca di liberazione che pervade l’inesauribile flusso di parole che riempie la sala per settantacinque lunghissimi minuti. E’ sotto il segno dell’astrazione e della rarefazione che i performer agiscono in scena, costretti su croci di latta che fungono da confessionale, con tanto di corone di spine/mollette da bucato sulle teste, incapaci o semplicemente non desiderosi di liberarsi da questa coercizione, dalla quale elargiscono parole, frasi, discorsi, senza connessioni, che vertono sullo scorrere di un tempo apparentemente immobile, sull'impossibilità di comunicare, sull'immobilità e il desiderio di movimento, sulla solitudine, agli astanti che sghignazzano sulle loro sofferenze. Ed ecco che i nostri personaggi dall'indecifrabile identità si trasformano anche in martiri, per l'appunto, crocifissi. Martiri che in realtà hanno più le sembianze di clown, indossando le tipiche lunghe scarpe dalla punta bombata, e di grotteschi esseri fantastici, con le loro maschere dagli occhi esorbitanti e sprovviste di bocca, fisionomicamente vicinissime all' ET di Spielberg. Esseri, insomma, vagamente antropomorfi, con maschere sprovviste di labbra, che però altro non fanno che parlare, sputare fuori da questa bocca assente fiumi di parole come flusso ininterrotto di esperienza, intervallati da canti/lamenti corali che fanno da sottofondo alla non-vicenda. Un essere moltiplicato per cinque quello in scena, che forse aspirerebbe a essere considerato un uomo, a entrare a far parte di quel mondo cui rivolge i suoi pensieri, magari nella tenue speranza di venir compreso o compatito, ma che probabilmente solo alla fine si rende conto di essere nient’altro che una marionetta nelle mani di chissachi o chissacosa muove i fili dell’esistenza. Rilevanti il lavoro sulla vocalità operato dalla compagnia, sotto il segno della ricerca di canali espressivi forti e indipendenti, e la reinvenzione dello spazio scenico, attraverso l'utilizzo di una scenografia fortemente simbolica studiata da Daniela Dal Cin che rende il tutto un magnifico "quadro per un'esposizione spettacolare".
Maria Pina Sistili



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