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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
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SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

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lunedì 1 marzo 2010

Il coraggio di oggi e la memoria del passato: intervista a Marta Cuscunà



é BELLO VIVERE LIBERI!

Con Marta Cuscunà
Costruzione degli oggetti di scena: Belinda de Vito
Luci e Audio: Marco Rogante
Vincitore premio Scenario per Ustica 2009
Teatro Itc San Lazzaro di Savena (Bologna)

Marta al telefono mi accoglie con grande entusiasmo. Senza prendere fiato mi presenta Ondina, la protagonista del suo spettacolo. “E’ bello vivere liberi!” è una storia che appartiene al passato ma l’attrice sembra sentirsela ancora addosso, mi parla della piccola donna come se fosse lì davanti ai suoi occhi.
Il tuo lavoro si rifà alla biografia di Ondina Peteani, staffetta Partigiana e deportata nei campi di sterminio. Potresti dirmi qualcosa su di lei?
Ondina è una ragazza di Monfalcone, come me; la sua è una storia di anticonformismo . Fin da piccola impara che la vera famiglia non è certo quella istituzionale ma quella che si decidere di avere; lei è figlia illegittima ma questo non le crea nessun tipo di problema nella relazione col padre e con la madre. Ondina nella sua vita sceglie; se fino ai quattordici anni marcia con i balilla, segue le loro mode, i loro imperativi, nel momento in cui entra per la prima volta in un cantiere operaio decide che la sua vita deve cambiare. Attratta dall’entusiasmo di quella che sarà la sua maestra di vita, Alma Vivona, frequenta la scuola di comunismo. Già a diciassette anni è staffetta partigiana, è giovanissima e coraggiosa. Vive all’età di diciannove anni l’esperienza della deportazione ad Auschwitz, che la segnerà per tutta la vita nei ricordi ma anche nelle scelte future. Dalla prigionia ne uscirà sterile e per reagire a questo diventa ostetrica. Insieme al suo compagno decideranno di adottare un orfano, questo momento sarà per lei un misto di gioia e dolore, perché la riporta ai giorni nei campi di sterminio in cui si veniva scelti per essere uccisi. Ondina così come mi ha raccontato Gianni, suo figlio, adotterà il più bruttino fra i bimbi, il brutto anatroccolo insomma, quello che forse in lager sarebbe stato destinato a morire.
Ha i conosciuto questa donna personalmente?
No. Ho conosciuto la sua biografia leggendo il libro della scrittrice Anna Di Giannantonio (“E bello vivere liberi. Ondina Peteani. Una vita tra lotta partigiana, deportazione ed impegno sociale, FVG, Edizioni IRSML, 2007).
A pelle a cosa ti fa pensare Ondina?
Ad una luce travolgente, ad una scossa, la stessa che mi ha travolto non appena ho conosciuto la sua storia
Qual è il sentimento che ti lega a lei?
L’entusiasmo, la gioia. Siamo entrambe molto giovani, penso a lei come ad una mia coetanea, che ha dato un grande contributo al nostro paese e così come lei, in Friuli durante il fascismo, il 70% dei partigiani avevano 14-15 anni. Questo mi fa pensare al nostro paese, a cosa potremmo fare noi oggi.
Oggi la sua storia può insegnare qualcosa ai giovani?
Potrebbe essere utile per darci una svegliata. Oggi sembra che tutto debba cambiare al di sopra delle nostre teste, delle nostre volontà. Dovremmo guardare un attimo indietro, i giovani di allora si sono fatti delle domande e hanno trovato una loro strada per rispondere.
Qual è il ricordo oggi a Monfalcone di Ondina, della sua lotta al fascismo? C’è una memoria attiva nei confronti della resistenza?

Sta cominciando poco a poco. Alla luce del mio progetto, abbiamo pensato di organizzare una giornata: Forma Libera, in cui i giovani monfalconesi a seconda delle loto attitudini hanno avuto la possibilità di esprimere un loro modo di vedere la resistenza partigiana; quindi si sono attivati nella piazza del paese con istallazioni, letture, cibi tipici del Carso ec. Mi è capitato di proporre a dei teatri non solo il mio spettacolo ma anche altri interventi della manifestazione.
All’interno del tuo lavoro porti in scena burattini e pupazzi; il loro utilizzo ha da una parte una motivazione politica e dall’altra guarda alla sfera emotiva. Potresti spiegare le tue ragioni?

Per quanto riguarda i burattini, all’interno dello spettacolo portiamo in scena la storia di Blechi, infiltrato fascista nell’esercito partigiano; non faccio altro che fare ciò che i partigiani a loro tempo facevano. Raccontare attraverso la drammatizzazione di burattini e attraverso linguaggi popolari. Così i partigiani facevano conoscere alla gente ciò che accadeva.
Per quanto riguarda i pupazzi, mi sono rifatta alla testimonianza della stessa Ondina, lei parlava di “metodo della sopravvivenza” per riuscire a superare la terribile esperienza campo di concentramento; Ondina si immaginava sdoppiata, immaginava che quelle atrocità fossero subite da un suo doppio e non da lei in prima persona. L’idea di sdoppiare Ondina mi ha sollevata da questa problematica. Io non sarei stata credibile nella visione di Ondina in un lager, perché non mi porto addosso nessun segno di privazione, di sofferenza, così ho pensato al pupazzo. Poi ho voluto raffreddare un po’ questa tematica e guardarla non dal lato emotivo del deportato che crea una forte lacerazione,un forte shock, ma dalla parte dei carnefici, una visione molto più fredda insomma.
E tu manovrando Ondina chi eri?
Possono esserci due livelli di lettura, sia il suo doppio, ma anche il suo carnefice.
Mi parli un po’ della tua formazione?
Io ho cominciato dal laboratorio di teatro-ragazzi a Vermiglio, questa esperienza mi ha fatto pensare al teatro come gioco e come rito. Dopo il liceo ho frequentato La Scuola Europea per l’Arte dell’Attore: Prima del Teatro. Lì ho conosciuto un bravissimo artista spagnolo Joan Baixas che si occupa di teatro visuale; ho lavorato con lui a Barcellona, mi ha passato il suo lavoro, ho animato gli stessi pupazzi animati da Joan Mirò. Con la regia di Somiglino ho partecipato allo spettacolo “Indemoniate”, un storia vera di alcune donne che nell ‘800 vengono considerata indemoniate, ma che in realtà sono donne che decidono di ribellarsi con grande violenza al sistema maschilista in cui vivono, donne costrette per questo ad allontanarsi dalla propria città, sottoposte a esperimenti e torture. Poi è tornato nuovamente Baixas con una spettacolo su una donna brasiliana che trasferitasi dalla selva alla città cade nella prostituzione; questo è uno spettacolo che si rinnova ad ogni esibizione perché Joan ogni volta fa dono al suo pubico di tele inedite, questa è la tecnica che lui chiama pittura in diretta.
Joan è l’esempio di un maestro che investe sui giovani?
Si è proprio così. Lui quando mi ha conosciuto mi ha fatto una promessa, mi ha detto che non appena avesse avuto la prima occasione mi avrebbe fatto lavorare con lui. Si è messo in gioco, ha rischiato. Non tutti lo fanno, l’Italia è molto restia ad esempio.
Ilaria Palermo

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