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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

Vuole essere una finestra sul mondo del teatro: perciò chiede a voi lettori di partecipare con commenti,
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Buona lettura!

DIRETTORE Massimo Marino

SEGRETERIA ORGANIZZATIVA Maria Pina Sestili

WEB Elena Cirioni

SCRIVONO: Elena Cirioni, Marta Franzoso, Lilian Keniger, Elina Nanna, Ilaria Palermo, Maria Pina Sestili, Giulia Taddeo, Laura Tarroni, Futura Tittafferante, Maria Claudia Trovato.

ATTENZIONE! Questo blog è realizzato dal laboratorio in completa autonomia dal Dms dell'Università di Bologna.

mercoledì 14 aprile 2010

Le parole della danza







Serenade/ The preposition
Ideazione e direzione: Bill T Jones
Coreografia: Bill T Jones con Janet Wong e i membri della compagnia
Luci: Robert Wierzel
Video: Janet Wong
Suono: Sam Crawford
17 marzo 2010, Teatro Romolo Valli, Reggio Emilia



Quando un coreografo di fama internazionale come l’afroamericano Bill T Jones passa per l’Italia, è quasi inevitabile che un appassionato di danza vada a vederlo. La sua, infatti, è una compagnia pluripremiata a livello internazionale che, in 25 anni di attività, ha sempre mostrato di saper unire sforzo tecnico, stile personale e tematiche di carattere sociopolitico.
Lo spettacolo che, dopo tanti anni di assenza, Bill T Jones ha portato a Reggio Emilia è ispirato alla figura del presidente americano Abraham Lincoln.
Prime considerazioni di fronte a questo tema: sarà forse uno spettacolo dai toni retorici e sentimentali? O, forse, la componente storico-politica soffocherà del tutto la poesia della danza?
In fondo, anche le indicazioni del programma di sala potevano fomentare simili interrogativi, soprattutto a causa della massiccia presenza di una componente testuale: si parlava, infatti, di uno spettacolo “stratificato”, in cui trovavano posto i discorsi di Lincoln (Serenade, fra l’altro, significa anche ‘discorso’), ma anche quelli di Bill T Jones e dei suoi danzatori.
Eppure, tutto in questo spettacolo (dai testi, alle scelte musicali, scenografiche e, soprattutto, coreografiche) contribuisce a creare pur momenti di autentica poesia, attraverso una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti dell’umanità intesa come capacità di sostegno, aiuto e accettazione dell’altro nonostante le differenze individuali.
Non potrebbero essere fisicamente più diversi l’uno dall’altro i danzatori di questa compagnia multietnica: essi si stagliano su una scena completamente bianca e occupata solo da sei colonne allineate sul fondale, quasi a costituire la facciata della Casa Bianca ( ma anche a richiamare il granito della tomba di Lincoln all’Oak Ridge Cemetry di Springfield).
Saranno poi delle proiezioni (immagini delle Guerra Civile, figurazioni astratte, vecchie fotografie che ritraggono uomini e donne di diverse etnie) a vivificare questa scena aperta, aerea e luminosa, in cui le colonne, inizialmente allineate, verranno poi spostate dagli stessi danzatori come a creare un porticato da tempio greco. All’atmosfera sospesa e senza tempo del palcoscenico (venata, tuttavia, da momenti di inquietudine, come quando viene proiettata l’immagine della Casa Bianca in fiamme – forse un rimando al tentativo di assassinio di Washington?), fanno da contrappunto i pulpiti posti ai lati del proscenio da cui saranno pronunciati i testi e cantate le canzoni menzionate all’inizio: si tratta di parole che portano il ricordo dei seicentomila morti della guerra di secessione, ne ricostruiscono le fasi e ricordano il percorso del feretro di Lincoln assassinato fino a Springfield.
Ecco che, allora, i riferimenti alla storia, oltre a fornire la struttura complessiva dell’intero spettacolo, sembrano così coagularsi attorno alla ribalta, mentre la scena è del tutto occupata dalla bellezza e dall’energia della danza, in uno scambio ininterrotto fra palco e proscenio.
Si tratta di una danza aerea, leggera, aperta, bella da vedere. I danzatori percorrono delle distanze quasi senza peso: saltano, certo, ma non per fare sfoggio del proprio virtuosismo tecnico; quando si staccano dal suolo, così come quando sono a terra, sembrano costantemente attraversati da un’energia che li sostiene, liberandoli della loro sostanza corporea. Ciò è ancor più significativo perché si tratta di corpi fortemente caratterizzati, dal danzatore esile a quello possente e atletico, dalla danzatrice asiatica a quella afroamericana.
E’ un ritratto di un’umanità nobile perché legata da sentimenti di rispetto e solidarietà reciproci: tante volte nel corso dello spettacolo gli interpreti si immobilizzano lungo corridoi di luce, come a comporre un gruppo scultoreo: ognuno assume una posa ben precisa, ma, soprattutto, tutti insieme si sostengono, sorreggendosi l’un l’altro.
Il movimento è reso ancor più suggestivo e commovente dal commento musicale. Si va dalle note struggenti di un violoncello che suona Mozart, alla celebre “John Brown” interpretata da una soprano, fino ai vecchi canti gospel che celebrano la fede e l’amore per Dio, ed ecco che i danzatori si muovono con l’eleganza di creature angeliche, ma al tempo stesso umanissime.
Serenade/ The preposition, è un ‘discorso’ e una ‘proposta’ d’amore, che, è bene dirlo, poco ha a che fare col sentimentalismo.
Anche quando i testi pronunciati dagli interpreti (dal vivo o mediante registrazioni) raccontano esperienze vissute, queste ultime sono trasfigurate, nobilitate dalla pura bellezza dell’arte.
Si capisce allora quale può essere il senso di un’operazione artistica ispirata a un personaggio storico come Lincoln: essa rimanda alla vicenda “di una persona nata nel 1809” (Lincoln, per l’appunto), ma può (e deve) essere anche la storia di quanti, come Bill T Jones, si interrogano su ciò che alcuni protagonisti della storia possono significare per loro, su cosa rappresentano e, soprattutto, su quanto ci hanno insegnato.
Giulia Taddeo

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