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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
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martedì 6 aprile 2010

L’attesa di un labile discorso






MARCIDO MARCIDORJS E FAMOSA MIMOSA


“Ma bisogna che il discorso si faccia!”

da “L'Innominabile” di Samuel Beckett
drammaturgia e regia Marco Isidori
con Maria Luisa Abate,
Paolo Oricco, Marco Isidori



Forse il problema è mettere in scena Beckett oggi. Forse i Marcido Marcidorjs hanno ideato la migliore delle rappresentazioni possibili del romanzo ”L’Innominabile”. Ma i settantacinque minuti di “Ma bisogna che il discorso si faccia”, all’Arena del Sole il 25 e il 26 febbraio, scorrono ma non toccano. L’apparato visivo salva la nave e l’equipaggio intero. Un siparietto rappresentante un enorme aborto umano dalle pupille sgranate osserva allucinato il pubblico mentre le voci metalliche del coro nascosto dietro di esso – oltre alla scenografia, straordinario anche l’uso della voce – incutono timore allo spettatore medio. Si sente: “Non si può andar via... paura! Questo è lo spettacolo, aspettare lo spettacolo!”
Già. Inizia l’eterna attesa. Aspettiamo tutti che il discorso che s’ha da fare ingrani. Ma chiaramente non ingrana, come nelle migliori intenzioni di quel simpatico irlandese di nome Sam. La speranza dello spettatore si accende quando il coro gracchiante smette di borbottare e si spengono le luci. Cade il pannello ed ecco cinque croci metalliche su cui ciondolano cinque cristi in tuta acetata e scarpe nere da clown. Cinque maschere senza bocca e con gli occhi più che fuori dalle orbite. Mi chiedo se i cinque attori siano ciechi oppure no. Inizia il fiume di parole. Brevi monologhi alternati ad altrettanto brevi cori. Interessante il lavoro sulla voce, giocano sugli acuti, sui bassi, sugli effetti polifonici, non per niente il sottotitolo dello spettacolo recita concerto grosso. Impossibile fermare le parole. Al quarantesimo minuto vorremmo strappar loro quella bocca che dicono di non avere. Ogni tanto si perde il filo del loro labile discorso. Si sente solo ogni tanto risuonare la parola tempo. Tempo che non finisce mai. Al sessantesimo minuto siamo un po’stanchi dei cinque teletubbies beckettiani. Ci propinano una storiella di nuore, generi e suocere. E come sembrano contenti! Ma bisogna anche che il discorso finisca! Eccoci accontentati. E sulle note di “Ancora” cantata da una sensualissima Mina (perché non hanno scelto De Crescenzo?) ci lasciano storditi e un po’ sollevati.
Maria Claudia Trovato

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