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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
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lunedì 1 marzo 2010

Un paese di stelle e sorrisi



Con Victorine Mputu Liwoza e Judith Maleko Wambongo
Compagnia Mosika
Teatro Testoni di Casalecchio di Reno, 16 febbraio 2010
Vincitore del Premio Scenario Infanzia 2009

“Un paese di stelle e sorrisi” è la storia di un viaggio, è una storia di distacco e lontananza. Dal paese dove il cielo è pieno di stelle e la gente ci sorride nella calda e lontana Africa, all’Europa, lampada magica che se hai fame ti dà da mangiare, se hai sete di dà da bere, ecco il viaggio di una madre (Victorine Mputu Liwoza) che lascia la figlia (Judith Maleko Wambongo) per trovare lavoro in Italia, per garantire a sé stessa e alla sua piccola, mwana na ngai, un futuro migliore. Sul palco immagini poetiche e toccanti, accompagnate da musiche e ritmi africani a tratti coinvolgenti, a tratti commoventi: le due donne si scambiano lettere, aereoplanini di carta che oltrepassano il muro del tempo e dello spazio. La piccola Judith racconta alla madre lontana dell’ultima festa di matrimonio nel loro villaggio, la madre della sua nuova quotidianità, della gioia nel ritrovare una connazionale o nell’imparare la nuova lingua. Tutto avviene con il sapiente intreccio di tre lingue, l’italiano del nuovo paese della madre, il francese ufficiale della repubblica del Congo, e il lingala, dialetto delle due protagoniste, lingua della familiarità e dell’affetto. I toni caldi dei costumi di Judith e Victorine sullo sfondo scuro del palco che riflette le ombre delle protagoniste, e l’immediato uso delle sonorità del lingala, immettono lo spettatore in un Africa calda e festosa. Poi arriva la guerra. Le lettere di Judith, in continua fuga e in preda alla costante paura, si fanno cariche di rabbia per le promesse non mantenute dalla madre. Scoppiano i palloncini sul palco, diventano suoni di guerra. Judith straccia le lettere della madre. Ma la notte non sarà infinita. E’ giunto il momento per Judith di raggiungere la madre, è arrivato il momento di gridare a squarciagola un’interminabile sequela di voglio. Voglio un permesso di soggiorno, voglio ridere a crepapelle, voglio piangere di gioia, voglio diventare un’astronauta, voglio vivere, voglio rinascere… Pochi istanti di incredibile pathos nell’abbraccio finale tra madre e figlia. Poi ecco dirompente la musica congolese prendere il sopravvento su tutto e le due giovani attrici lanciarsi in una sorprendente danza di libertà e di speranza.
Dopo lo spettacolo, che ha visto un esaltato pubblico di bambini del secondo ciclo delle elementari e delle medie inondare le due attrici di domande e curiosità, ho avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con Victorine e Judith. Victorine, 32 anni, da ventisei in Italia, si è formata presso l’Itc San Lazzaro, dove collabora a molti progetti e a molti lavori, primi fra tutti gli spettacoli messi in scena dalla Compagnia dei Rifugiati. Judith, 19 anni, da nove in Italia, ha iniziato a recitare per gioco, frequentando alcuni laboratori de La Baracca. A parlare, soprattutto Victorine, impetuosa e solare. Judith, più timida l’appoggia.
Quella che presentate al vostro pubblico è una storia molto intensa, pur nella semplicità del suo intreccio. Com’è nata questa storia? Quanto c’è di autobiografico?
Quasi tutti, dopo aver assistito al nostro spettacolo, ci chiedono se si tratti o meno di una storia vera. La chiave è giù all’interno dello spettacolo nel momento in cui diciamo “io sono tutte le mamme che partono e non sanno quando rivedranno i loro figli”, “io sono tutte quelle ragazzine che all’improvviso rimangono sole”. La storia vuole essere universale, vuole rappresentare la lontananza e l’attesa che separano madri e figli in tutti i luoghi del mondo e in tutti i contesti. Non importa che madre e figlia siano rumene, albanesi, americane o africane. Comunque, sì, è anche la nostra storia. Io sono arrivata in Italia a sei anni, mia madre era qui già da due, Judith è arrivata a dieci anni e la madre viveva in questo paese da cinque. L’idea di creare questo spettacolo è nata all’improvviso quando abbiamo letto il bando del premio Scenario, sentivo che questi due personaggi che avevo in mente potevano essere efficaci, sentivo che poteva nascere qualcosa di veramente bello.
Voi avete ideato il testo, ne siete anche registe e interpreti. Come avete vissuto il fatto di aver concentrato in voi i tre momenti della drammaturgia, della regia e della recitazione? Non avete sentito l’esigenza di un aiuto esterno?
La prima parte del lavoro l’abbiamo svolta singolarmente, molto spesso in solitudine. Abbiamo lavorato molto sull’improvvisazione. Insieme poi rielaboravamo quanto fatto. Ogni volta che facevamo un passo avanti nella costruzione dello spettacolo lo mostravamo ai nostri amici, in particolare ai componenti della Compagnia dell’Argine, che ci hanno dato tantissimi consigli e suggerimenti. Ma volevamo che il lavoro fosse principalmente nostro. Grande aiuto ci è arrivato anche da Cristina Valenti, che si occupa in prima linea del premio Scenario. L’apporto di Scenario, da questo punto di vista, è molto importante perché offre la possibilità alle Compagnie di essere seguite da un tutor.
L’idea di lavorare su tre piani linguistici, quello del francese, del congolese e dell’italiano è molto originale e molto espressiva. Quale senso conferite a questa scelta? Cosa volete trasmettere al pubblico attraverso questo multilinguismo?
L’uso del lingala, il dialetto congolese, ci è servito già dalle prime scene ad immettere lo spettatore nell’atmosfera del contesto africano su cui si apre lo spettacolo. Abbiamo riservato il francese, lingua ufficiale della Repubblica democratica del Congo, soprattutto ai momenti legati alla scuola. Comunque, al di là dell’importanza delle tre lingue per connotare geograficamente lo spettacolo che è un’altalena tra Africa e Italia, utilizzare le tre lingue è stato anche un modo per lavorare sul suono e sulle potenzialità che una lingua straniera può offrire. In questo senso mi sono molto ispirata al lavoro che svolgo con la Compagnia dei Rifugiati, dove scaraventiamo sul palcoscenico persone che sono appena arrivate in Italia e conoscono non più di tre parole. Le sonorità di lingue sconosciute che si mescolano tra loro possono dar vita a effetti di musicalità sorprendenti.
Da quanto tempo vi conoscete? Da dove è nata l’idea di creare una compagnia? Cosa significa mosika?
Da sempre. Siamo cugine. L’idea della compagnia, come ho detto, è nata principalmente leggendo il bando del Premio Scenario. Sentivo di avere una buona idea e ho pensato subito a mia cugina Judith, anche lei attrice e amante del teatro. La parola Mosika racchiude tutto il significato del nostro spettacolo, in lingala significa lontananza.
Un paese di stelle e sorrisi è il vostro primo lavoro. Avete in cantiere altri progetti?
Siamo in tournée fino a giugno e impegnate in altri progetti con altre compagnie e altri gruppi. Ma ci ripromettiamo sicuramente di creare di nuovo qualcosa insieme, ma non prima del prossimo settembre.
Maria Claudia Trovato

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