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Scene dalla Soffitta presenta la terza edizione del laboratorio di scrittura critica incentrato sugli spettacoli della stagione 2010 del Centro di promozione teatrale La Soffitta e anche su altri appuntamenti.
Questo blog, realizzato da studenti della Laurea Magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo dell'Università di Bologna con l'aiuto e la supervisione di Massimo Marino,
contiene recensioni, approfondimenti, cronache teatrali e tanto altro...

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martedì 2 marzo 2010

Nella fabbrica delle maschere



ASPETTANDO PULCINELLA

Seminario sulla maschera
Dimostrazioni e interventi di Claudia Contin, Antonio Fava, Eleonora Fuser, Vanda Monaco, Eugenio Ravo, Donato Sartori
11 febbraio 2010, Laboratori Dms -Teatro


Che sia un seminario particolare lo si capisce subito: si svolge in un teatro (quello dei laboratori Dms), i relatori sono tutti in scena e, il pubblico, nel buio della sala (sebbene siano solo le tre del pomeriggio) assiste in poltrona. Sotto i riflettori non ci sono professori o studiosi affermati, ma cinque artisti che dovranno mostrarci praticamente (ecco la principale novità) come lavorano con la maschera, sia che interpretino Pulcinella o Arlecchino, sia che siano attori o costruttori di maschere.
Silvia Mei (curatrice del seminario) invita al centro della scena Antonio Fava, che da sempre veste i panni di Pulcinella e che della Commedia dell’arte ha fatto materia di studio e di insegnamento. Potremmo aspettarci un elogio della maschera di Pulcinella o il racconto romanzato del proprio rapporto con il personaggio: niente di tutto ciò. “Io non sono il personaggio che interpreto”, dice l’attore, il quale in verità non sembra nutrire troppa stima per uno che, come Pulcinella, non solo è cinico e nullafacente, ma “se potesse votare sarebbe anche un fascista”. Eppure, qualcosa in comune con la maschera napoletana Fava sembra averlo: è l’atteggiamento vagamente dissacratorio con cui, ad esempio, ricorda il mestiere del padre (un Pulcinella che faceva serenate e ravvivava le feste di paese) e con cui, soprattutto, indossa la maschera, sottolineando come per lui non si tratti in alcun modo di gesto rituale. E così, anche se solo per pochi istanti, gustiamo l’esibizione di questo Pulcinella che parla calabrese (perché calabrese è Antonio e lo era anche il padre): una piccola scenetta, una lite fra due coniugi anziani ed esilaranti.
Un omaggio alla memoria di Giulio Bosetti: è questo il segno dell’intervento di Eleonora Fuser (protagonista dello spettacolo delle ore 21), che preferisce non esibirsi ma limitarsi a ricordare come la Commedia dell’arte debba far recuperare il patrimonio dell’attore ‘totale’, quello capace, cioè, di padroneggiare le tecniche vocali e corporee più disparate. E’ solo dal possesso della tecnica che, dice, si può tentare di superarla e di fare un vero teatro di ricerca.
Arriva quindi il momento di Donato Sartori, scultore e figlio del grande costruttore di maschere Amleto: è una lezione universitaria la sua, che si nutre di memorie e di aneddoti, come quello relativo alle grandi difficoltà che, dapprincipio, un grande attore come Marcello Moretti aveva incontrato nell’usare la maschera per il Servitore di due padroni di Streheler.
I Pulcinella di Eugenio Ravo e Vanda Monaco, invece, non potrebbero essere più diversi.
Ravo, con indosso il tradizionale costume bianco dalle lunghe maniche, sfrutta una straordinaria qualità di movimento (di certo acquisita anche alla scuola di mimo di Decroux) per dare vita a un Pulcinella saltellante che affronta, in maniera ironica e dissacratoria, il tema della ‘monnezza’ di Napoli. Già, perché Pulcinella, dice Ravo, è la voce del popolo, una voce contadina e millenaria che, attraverso la maschera, si fa beffe della società.
E’ scarso il legame con la tradizione per Vanda Monaco: ci presenta dapprima un estratto dallo spettacolo Pulcinella 1 e 2 ovvero la colpa è sempre della scarpa. Che questo spettacolo si faccia beffe di Samuel Beckett non viene fuori solo dal titolo (si riferisce ad Aspettando Godot), ma anche dall’atteggiamento del personaggio: Pulcinella è una maschera quasi inquietante che vive in un perenne tempo di attesa, un tempo in cui rievoca scenari di distruzione, come quello dell’11 settembre. Moderno e non convenzionale è il Pulcinella di Pulcinella è un bastardo (spettacolo da cui Vanda presenta il secondo estratto): anche qui le radici popolari del personaggio sfociano in una critica sociale che affronta, con una comicità amara, il tema dello sfruttamento degli immigrati.
Sono trascorse quasi tre ore dall’inizio del seminario, le luci del teatro appesantiscono gli occhi, eppure l’ultimo intervento fa dimenticare a tutti la stanchezza. E’ quello di Claudia Contin, l’unico Arlecchino in mezzo a tanti Pulcinella. La straordinarietà della sua dimostrazione sta nel farci assistere al processo di trasformazione che le permette di diventare Arlecchino, nelle movenze, nella voce, nell’abbigliamento. E’ una ricerca sulla maschera solida e approfondita quella di Claudia, che attinge al Kathakali e all’antropologia. Lo vediamo attraverso esempi concreti: è lo studio del Kathakali, ad esempio, che consente all’attrice di tenere le gambe costantemente piegate come Arlecchino, così come è il lavoro sul ritmo del movimento corporeo che le permette di assumere la tipica andatura della sua maschera. Arriviamo alla cerimonia della vestizione: tutto, dall’abito al trucco ‘sotto maschera’, è funzionale a creare un’immagine credibile e autentica di Arlecchino. Così, grazie a un abito che nasconde le forme femminili e a un trucco che altera il volto, l’esile figura di Claudia sparisce per lasciar spazio ad Arlecchino: per noi farà quello che, secondo la tradizione, facevano i comici dell’arte, è cioè improvviserà. Claudia ci regala, grazie anche al coinvolgimento di due spettatori, una deliziosa gag, in cui le battute a sfondo erotico vengono travolte dall’inarrestabile vivacità di Arlecchino, il quale, anche secondo le parole dell’interprete, rimane comunque un eterno bambino.
Giulia Taddeo

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